Bere caffè amaro a digiuno fa davvero salire la glicemia? Ecco la risposta dell’esperto

L’assunzione di caffè amaro a digiuno non provoca un aumento significativo della glicemia nella maggior parte delle persone sane, anche se alcuni studi suggeriscono che la caffeina possa avere effetti transitori sui livelli di zucchero nel sangue. Gli esperti chiariscono che la risposta glicemica individuale può variare, specialmente in soggetti predisposti o con alterata tolleranza al glucosio.

Effetti del caffè amaro sul metabolismo glicemico

Il caffè amaro, privo di zucchero e altri dolcificanti, contiene principalmente caffeina, una sostanza attiva che può incidere sulla regolazione della glicemia agendo su vari meccanismi fisiologici. Alcune ricerche evidenziano che il consumo di caffeina, soprattutto in quantità elevate, può determinare un modesto incremento temporaneo della glicemia a digiuno, attribuibile a una temporanea riduzione della sensibilità all’insulina. Tuttavia, questi effetti tendono ad attenuarsi dopo pochi giorni di consumo continuativo: l’organismo sviluppa una sorta di adattamento, tornando a una normale risposta glicemica già dopo cinque giorni consecutivi di assunzione di caffeina.

D’altra parte, indagini condotte da nutrizionisti e divulgatori scientifici sottolineano che per la stragrande maggioranza degli individui, una normale tazzina di caffè amaro a digiuno non determina innalzamenti apprezzabili della glicemia. Esperimenti personali e test reali documentati mostrano che i valori della glicemia restano pressoché invariati dopo il consumo di caffè amaro al mattino, smentendo opinioni di alcuni esperti che attribuivano alla sola caffeina la capacità di far “lievitare” la glicemia.

La questione nei soggetti con prediabete e diabete

La situazione si complica in presenza di prediabete o diabete mellito. Ne pazienti che già presentano alterazioni della regolazione glicemica, la sensibilità alla caffeina può essere aumentata o la risposta metabolica meno prevedibile. Studi osservazionali e meta-analisi indicano che ci sono persone in cui la caffeina può provocare un aumento temporaneo della glicemia. Al contrario, esistono ricerche che associano il consumo regolare di caffè a una minore probabilità di sviluppare diabete di tipo 2 sul lungo termine, ipotizzando un’azione protettiva riconducibile ai numerosi composti bioattivi contenuti nella bevanda, tra cui polifenoli e antiossidanti.

Negli individui già seguiti per alterata glicemia, il consiglio degli esperti è di monitorare personalmente la risposta, eventualmente valutando l’andamento glicemico a digiuno e dopo il caffè, in modo da verificare l’effettivo impatto individuale. In ogni caso, assumere caffè senza zuccheri aggiunti resta generalmente una scelta sicura e priva di rischi per la maggioranza dei soggetti, specie se il consumo resta moderato.

Caffè, insulina e adattamento dell’organismo

Il collegamento tra caffeina e glicemia riguarda la modulazione dell’insulina, l’ormone prodotto dal pancreas che favorisce l’ingresso del glucosio nelle cellule e quindi la riduzione della glicemia ematica. Nei primi giorni di introduzione o di aumento della caffeina si è osservato, in alcuni studi clinici, un incremento sia dei livelli di insulina sia dei valori di glicemia a digiuno. Tuttavia, si è constatata una rapida attenuazione di questi effetti: dopo meno di una settimana di assunzione regolare di caffè, la risposta glicemica si normalizza e la sensibilità all’insulina torna ai livelli basali.

In una prospettiva di lungo termine, alcune review scientifiche hanno evidenziato come il consumo regolare di caffè sia associato anche a una minor resistenza insulinica e a livelli più bassi di insulina. Studi epidemiologici hanno inoltre mostrato che chi consuma tre o più tazzine di caffè al giorno riduce in modo significativo il rischio di sviluppare diabete di tipo 2 rispetto a chi assume poco o niente caffè, anche se il meccanismo esatto resta oggetto di approfondimento da parte degli scienziati.

Consigli pratici e miti da sfatare

Molte delle credenze diffuse sull’effetto del caffè amaro sulla glicemia derivano da interpretazioni parziali o errate dei dati disponibili. È importante differenziare tra i possibili effetti transitori della caffeina pura e quelli legati al consumo abituale di caffè come bevanda complessa, che oltre alla caffeina contiene numerose altre sostanze bioattive. Inoltre, la risposta individuale può variare a seconda della genetica, dello stato di salute metabolica e della presenza di eventuali patologie croniche.

Bisogna sottolineare che il caffè assunto da solo, senza zucchero e senza latte, ha un impatto calorico trascurabile e non contiene carboidrati semplici che possano innalzare la glicemia. L’effetto è quindi molto diverso dal consumo di bevande zuccherate o di caffè con dolcificanti aggiunti.

Gli esperti invitano comunque alla moderazione: il rischio di effetti indesiderati aumenta quando si superano le 4-5 tazzine di caffè al giorno in persone predisposte a disturbi metabolici, ansia o insonnia. Nella pratica clinica italiana, quasi tutti i diabetologi e nutrizionisti permettono l’assunzione di caffè alle persone sane e anche a chi presenta valori di glicemia tendenzialmente elevati, consigliando eventualmente una verifica diretta dell’effetto individuale attraverso auto-misurazioni post-prandiali.

  • Il caffè amaro a digiuno non fa aumentare in modo significativo la glicemia nei soggetti sani;
  • L’effetto della caffeina sulla glicemia è soprattutto transitorio e si attenua con l’adattamento dell’organismo;
  • Nei soggetti con alterata tolleranza glucidica è consigliabile monitorare la propria risposta personale;
  • Il consumo regolare di caffè è associato, su base epidemiologica, a una minore incidenza di diabete di tipo 2;
  • L’aggiunta di zucchero o altri dolcificanti può invece innalzare i livelli glicemici.

La glicemia è il parametro chiave da monitorare nei soggetti a rischio di diabete e nelle persone con note problematiche di metabolismo glucidico. Tuttavia, il caffè amaro resta una scelta sicura e compatibile con una dieta equilibrata nella maggioranza dei casi, purché si rispetti la soglia individuale di tolleranza e si adottino stili di vita salutari. Dove persistano dubbi, è sempre opportuno consultare il proprio medico o un nutrizionista specializzato nella gestione delle patologie metaboliche.

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